Di cose da fare a Bali ce ne sono tantissime. Spiagge, ma anche templi bellissimi, ricchi di storia. Sono edifici (se riuscite a visitarli senza troppa ressa attorno…) pieni di spiritualità, avvolti quasi da un alone magico, che trapela dai decori antichi delle pietre, dai volti degli dei, dagli altari dorati, dalle fontane incorniciate da una scenografia naturale senza eguali.
Io lo ammetto, avrei potuto pianificare un giro culturalmente molto impegnativo, ma non stavo cercando quello.
Avevo bisogni di perdermi, di vagare senza meta. Avevo bisogno di stupirmi senza avere aspettative. Avevo voglia di sentire quel senso di leggerezza che si prova solo quando realmente non sia hanno orari, scadenze, arrivi e partenze prestabiliti, quando sai che non importa dove arrivi perchè quello che vuoi è andare. E Simone ed io stavamo andando su un motorino con un casco in testa e uno zainetto sulle spalle, cercando di non rimanere coinvolti in qualche tamponamento o incidente, sperando di lasciarci presto alle spalle il caos cittadino per ritrovarci avvolti da ciò che rimane della vecchia Bali.

Jatiluwih Rice Terrace (foto: Anna Luciani)
Volevamo andare a nord, verso le risaie, avevamo una direzione ma non un percorso. Non sapevamo dove avremmo dormito quella notte, o dove avremmo mangiato, non sapevamo neppure dove saremmo arrivati. L’unica necessità era continuare a scoprire le meraviglie dell’isola. E in cuor mio speravo che quella giornata non finisse mai, perchè mi stavo divertendo davvero tanto.
Siamo partiti da Sanur di prima mattina dopo aver contrattato un po’ con il ragazzo dei motorini. Prima di partire abbiamo lasciato i bagagli nell’hotel che ci avrebbe ospitato qualche giorno dopo, al nostro ritorno dall’escursione nel cuore dell’isola: in due su un motorino con due zaino grandi è difficile, quindi, giusto per due giorni, abbiamo ridotto il bagaglio ad un piccolo zainetto con tutto il necessario: un cambio, un costume, un kway, una giacchetta, antizanzare, crema solare, acqua, cappello, carica portatile per cellulare.
Avevo cercato sulla mappa alcuni punti di interesse, ma senza troppo entusiasmo. Intendiamoci, ci sono luoghi di una bellezza incredibile, di rilevante importanza storico-culturale che meritano di essere visitati. Ma è anche vero che il turismo (soprattutto occidentale e cinese), anche Bali, è quasi come una pellicola trasparente che avvolge l’intera isola cercando di renderla “lucida”, “intatta” e pronta per il consumo dello straniero, rendendola però asfittica.
Siamo stati in templi dove alcune persone, realmente devote, pregavano e praticavano alcuni cerimoniali, circondati da una mandria di persone impazzite, incredule di essere davvero arrivate in quel luogo così bello e così tanto volte agognato su instagram o su qualche rivista, in preda ad una crisi da foto compulsiva, irrispettosi della sacralità del luogo, irrispettosi della cultura, puri consumatori di spazi e immagini. Io non sono da meno, intendiamoci. Ma ci sono situazioni davvero al limite, dove pur di guadagnare (speculando) si vende a chi ha i soldi qualsiasi cosa senza il minimo pudore. E dall’altra parte, chi ha i soldi crede in automatico di poter fare ciò che vuole, senza rispetto, senza umiltà, senza realmente capire il privilegio di essere dove si trova. Manca la voglia di conoscere e capire, sovrastata dalla smania di appropriarsi e marcare il territorio con una foto/bandierina. Scusate questa breve parentesi polemica, non voglio essere pensante, e non posso neanche prendere le distanze da dinamiche a cui io stessa appartengo, sarei ipocrita. Solo a volte mi aspetterei più intelligenze e rispetto.
Detto ciò, lungo il percorso che alla fine ci ha portato ad Ubud, Bali ci ha regalato ciò di cui avevo bisogno: libertà e bellezza.
Mentre Simone guidava io tenevo il cellulare al collo (all’interno di quei porta-cellulare subacquei) con goolgle maps attivo. Peccato però che solitamente ci facessimo guidare dall’istinto alla ricerca delle strade più strette e deserte.

Jatiluwih Rice Terrace (foto: Anna Luciani)
Questa strategia si è rivelata perfetta. Abbiamo ammirato paesaggi meravigliosi: terrazze di riso e palme in ogni dove, abbiamo attraversato villaggi che sembravano essersi fermati nel tempo: bambini lungo la strada o ai piedi di statue mostruose (nel senso che raffiguravano dei veri “mostri”), che felici ci salutavano quando passavamo accanto a loro; donne intente a intessere foglie di banane, uomini che incidevano il legno o costruivano bellissime gabbie per galli, tutti avvolti da una spontaneità antica, intatta, vera. L’aria, salendo verso il Danau Beratan (che non abbiamo mai raggiunto), diventava via via più fresca, i colori attorno a noi sempre più accesi, le strade sempre più tortuose e la nostra felicità aumentava esponenzialmente.

Jatiluwih Rice Terrace (foto: Anna Luciani)
Zigzagando un po’ a caso, e affidandoci ogni tanto a google maps per ritrovare una via, siamo arrivati a:
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Pura Taman Ayun
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Bali Butterfly Park
Siamo capitati per caso in questo parco, mentre cercavamo disperatamente un posto dove mangiare (alla fine abbiamo trovato un semplicissimo Warung molto locale: Warung Nasi Nanang Mang, Tabanan.

Warung Nasi Nanang Mang, Tabanan (foto: Anna Luciani)
Nessuno parlava inglese, le porzioni venivano servite a manate nei piatti di plastica. Rustico ma vero, come piace a noi! E anche il cibo era squisito…qualunque cosa fosse!).
L’entrata al Parco è un po’ cara, ma è stato davvero interessante. Al di là della vegetazione talmente rigogliosa che sembrava di essere entrati in un fiaba, ci sono farfalle in ogni dove, ed è possibile vedere “la stanza dei bachi”, allevati con cura e attenzione, farfalle appena nate, più grandi della nostra faccia.

Bali Butterfly Park (foto: Anna Luciani)
E ancora insetti particolarissimi dalle sorprendenti capacità mimetiche!

Scarabeo rinoceronte (foto: Anna Luciani)
All’interno del parco è possibile trovare anche un museo con centinaia di farfalle diverse di una bellezza pazzesca. Non sono un’esperta ma a me è sembrato anche ben organizzato.
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Jatiluwih Rice Terrace
La sera ci ha sorpreso mentre con il nostro fido motorino percorrevamo stradine sterrate immerse nelle risaie, e con la sera anche un acquazzone di quelli storici (=acqua a secchiate). Ci siamo riparati sotto una tettoia e, dopo aver indossato i kway, abbiamo capito che era giunto il momento di trovare un posto dove andare a dormire.
Bali in generale, ma, secondo me, la zona attorno ad Ubud in particolare, pullula di luoghi incantevoli dove dormire: case storiche ristrutturate con gusto affacciate su piscine circondate dalla foresta tropicale, hotel con centri spa da mille e una notte, lezioni di yoga all’alba e colazioni a base di frutta e prodotti biologici che solo a vederli in foto, da tanto belli e abbondanti, fanni diventare più belli e allegri (sappiate che la colazione che va per la maggiore a Bali sono pancake alla banane con miele. punto.).
Sfogliare booking e airbnb metteva ci ha messo letteralmente in crisi.
Noi però potevamo fermarci solo una notte perchè il giorno dopo volevamo proseguire la nostra avventura alla scoperta dell’isola…valeva davvero la pena scegliere un posto così incantevole, avere quel “ben di dio” a disposizione e non poterlo sfruttare?
Alla fine abbiamo optato per una soluzione più vicina ad Ubud (per fortuna non in centro), più “basilare”, se così possiamo definirla e comunque estremamente accogliente, elegante… sempre da sogno, il Munari Resort Spa.
Siamo arrivati in paese che ormai era tardi e la maggior parte dei ristoranti era chiusi. Rimaneva aperto sullo l’Indus consigliato vivamente dal signore alla reception.

Ristorante Indus, Ubud (foto: Anna Luciani)
Siamo entrati attraversando un portale bellissimo, e davanti ai nostri occhi si è aperto un salone arredato in maniera elegante, luci soffuse e pareti aperte su un terrazzo affacciato sul fiume e la foresta. Solo noi in un contesto così magico da non sembrare vero.
Questo ristorante è di un livello un po’ superiore rispetto a quelli che di solito scegliamo. Ma una giornata così bella meritava di essere festeggiata. Oltre a cocktails veramente buoni e rivisitati in veste locale, abbiamo mangiato un piatto a base di jackfruit squisito. Non immaginavo che questo frutto, abbastanza dolciastro, si prestasse ad essere cucinato quasi fosse uno spezzatino! buonissimo.
L’indomani, dopo una nuotata di prima mattina nella piscina dell’hotel siamo ripartiti alla scoperta di Ubud, e abbiamo poi proseguito per raggiungere, prima di tornare a Sanur:
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Pura Tirta Empul
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Tegalalang Rice Terrace
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